Giotto, Natività e annuncio ai pastori (1303-1305, Padova, Cappella degli Scrovegni).
In occasione del Natale, non poteva esserci opere più idonea per farvi gli auguri, della Natività (1303-1305) affrescata da Giotto nella Cappella Scrovegni di Padova. Si tratta senza ombra di dubbio di una delle più belle rappresentazioni della nascita di Gesù nella storia dell’arte, un’immagine talmente perfetta nella sua semplicità, da essere presa come termine di paragone da molti artisti delle generazioni successive. Gli stessi collaboratori di Giotto che lavoreranno nel transetto destro della basilica inferiore di Assisi, riprenderanno le figure dei due pastori e di Giuseppe.
Si tratta ovviamente di una delle iconografie più tradizionali dell’arte cristiana, avendo un’antica origine bizantina, eppure Giotto, senza intaccare l’impianto di base, riesce a rinnovarla, arricchendola di una profonda e sentita umanità. Qualità che proprio nella Cappella Scrovegni raggiungeranno una prima importante maturazione, quel «punto di non ritorno» per i successivi sviluppi della pittura occidentale, di cui parlò Alessandro Tomei (1997). Sulla stessa linea Francesca Flores d’Arcais, per la quale la Natività nella Cappella degli Scrovegni, rappresenta «forse per la prima volta nella storia dell’arte, un presepe nel senso più affettuoso e delicato del termine». Osservandone attentamente i dettagli non si può che concordare con tale valutazione. Al volto di Maria, luminoso, dolce e amorevole fanno eco gli animali, mansueti e in adorazione come fossero “persone”. I pastori esprimono in modo contenuto (quello di sinistra si sta portando la mano alla bocca), il proprio stupore all’ascolto dell’annuncio fatto loro dall’angelo. Nella Natività di Giotto ogni cosa è, infatti, caratterizzata una ricercata misura, che ancor più, come espresso ancora dalla Flores d’Arcais (2009), «si evidenzia nella ricerca di bellezza di molti volti da lineamenti “regolari”, che non è che un aspetto della “norma” delle figure classiche». Da una parte abbiamo dunque il desiderio di “umanizzare” l’evento sacro, e dall’altra l’ottenimento di tale proposito anche attraverso il recupero dell’arte antica, ad esempio nella ricerca spaziale e prospettica per la capanna, e in quella tridimensionale e plastica dei personaggi. Riguardo a questo secondo aspetto si osservi la commovente figura di Giuseppe. Accovacciato e pensieroso per gli eventi miracolosi in cui si è trovato, suo malgrado, protagonista, egli appare come una “scultura” con quel manto dorato di rara bellezza che lo ricopre. Le cromie adottate da Giotto nell’intero ciclo, si caratterizzano tutte per la loro luminosità, senza però raggiungere quegli effetti metallici che caratterizzeranno al contrario, un pittore tardo-gotico come Lorenzo Monaco.
Per quanto riguarda la fonte seguita da Giotto, o meglio dal teologo che dovette accompagnarlo con i propri consigli durante la realizzazione dell’intero ciclo pittorico, essa non è tanto il Vangelo di Luca quanto piuttosto il testo apocrifo
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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